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   Le cornici culturali sono l’insieme di tutti i riferimenti culturali che una persona mette in campo in modo inconsapevole ogni volta che entra in relazione con l’altro; essi influiscono sul suo modo di guardare e comprendere il mondo, sul modo in cui si relaziona agli altri e su come rielabora le proprie esperienze.

 

   Quando ci relazioniamo con persone che hanno le nostre stesse cornici culturali possiamo dare per scontate molte informazioni perché fanno parte di un patrimonio condiviso che ci aiuta a comunicare ciò che desideriamo. Fra gli studiosi più autorevoli vorrei citare Bateson, che studiando gli atteggiamenti antropologici di culture differenti arriva a formulare l’esistenza di culture nazionali ma io oggi riscontro sempre più culture locali che intendono scimmiottare culture internazionali, da qui il disastro culturale. Egli individua in ciascuna cultura alcuni paradigmi che la contraddistinguono e che possono essere a loro volta suddivisi in due categorie; da un lato le relazioni bipolari caratteristiche dei rapporti tra determinati soggetti di ciascuna cultura, ad esempio soggezione/assertività, assistenza/dipendenza, esibizionismo /ammirazione. Dall’altro i soggetti protagonisti di tali relazioni, ad esempio genitori/figli, docenti/studenti, datore di lavoro/giovane al primo colloquio. Lo studioso arriva a definire il concetto della cornice come il contesto culturale all’interno del quale esistono queste relazioni e sono condivise.

 

   Cosa significa?

  Se due persone che comunicano hanno le stesse cornici culturali, le stesse premesse implicite, allora la comunicazione non verbale aiuta il confronto; se invece le persone hanno cornici culturali differenti la comunicazione non verbale è di ostacolo e può creare dolorosi o spiacevoli fraintendimenti.


   Faccio un esempio concreto per chiarire quanto detto e mi riferisco ad un’esperienza vissuta da una mia amica.

 

   Consideriamo due contesti culturali, quello italiano e quello francese, e i soggetti datore di lavoro-giovane al primo colloquio. Il giovane architetto italiano decide di emigrare a Parigi e come prima cosa fa un’esperienza lavorativa in un piccolo studio prestigioso nell’ambito del progetto Leonardo. Conclusa questa fase inizia a fare colloqui di lavoro in altri studi; il suo book è costituito dai progetti fatti all’Università, dove ha avuto una brillante carriera ed esperienze all’estero, e da quelli a cui ha collaborato nel precedente studio, che non ha potuto assumerla. Nonostante la sua bravura resta senza lavoro. Come mai? Ancora non è tempo di crisi e lei non capisce cosa ci sia che non va. Nel frattempo si trova un lavoro alternativo come telefonista e fa amicizia; conosce così una cerchia di architetti di cui fa parte anche una ragazza francese che lavora in uno degli studi che non l’hanno assunta. La ragazza chiarisce cosa è accaduto e la mia amica trova subito un lavoro assai ben retribuito. In Italia quelle cifre erano improponibili.

 

    Vediamo cosa è successo!

    Nel contesto italiano un giovane alla sua prima esperienza lavorativa deve fare richieste economiche al ribasso perché in caso contrario non verrà mai assunto. Il mondo del lavoro nel nostro paese non premia né il merito né lo spirito d’intraprendenza; un giovane senza “appoggi”, consapevole delle proprie capacità, sicuro di se, con una buona autostima, grande voglia di imparare e pretese economiche adeguate alle sue capacità e intelligenza viene solitamente considerato arrogante, difficile da controllare e pretenzioso; la crisi ha acuito questa percezione ma le cornici culturali, da che ne ho memoria, sono sempre state queste. Certo, non era così nel dopoguerra, anzi, ma siamo diventati nel tempo un paese gerontofilo in cui prima dei 50 anni sei ancora considerato giovane nel mondo del lavoro, non puoi avere certe pretese, non ne hai l’esperienza. Il datore di lavoro difficilmente investirà sulla tua formazione perchè sa che può trovare giovani  altrettanto brillanti e disposti a lavorare a cottimo,  capaci di stare al loro posto e di accontentarsi sotto il profilo economico. La mia amica, con queste premesse implicite, si è presentata ai colloqui con grande entusiasmo, il carattere non si cambia, ma con pretese economiche modeste.

 

   Nel confronto con l’architetto parigino ha scoperto che il suo colloquio era piaciuto molto, fino a quando, alla domanda del compenso richiesto, la mia amica  ha avanzato la proposta di una cifra esigua; in Italia era un buon stipendio da architetto alle prime armi, in Francia era quello ricevuto dagli studenti non ancora laureati. Questa richiesta era stata interpretata come mancanza di autostima e quindi poco spirito di intraprendenza, poca disponibilità a mettersi in gioco e a lavorare sodo, a proporre; questa interpretazione della sua richiesta economica significava per loro poco valore creativo aggiunto. Non stavano cercando un disegnatore, un esecutore, ma un architetto che potesse dare il suo contributo al gruppo. Non andava bene. Sbalordita dalla spiegazione, la mia amica ha trovato immediatamente lavoro al colloquio successivo, dove ha proposto un compenso economico che in Italia sarebbe stato accolto con una risata in faccia!

 

   Conoscere le proprie cornici culturali e quelle delle persone con cui ci relazioniamo è quindi uno strumento necessario per evitare spiacevoli fraintendimenti nei sistemi complessi. Ho avuto modo di sperimentare sulla mia pelle questa esperienza sia con la parte politica che quella docente.

 

   Quella che molti chiamano sensibilità è in realtà un insieme di competenze, autostima, strumenti di lavoro sperimentati e affinati con l’esperienza.

L’autorevolezza riconosciuta dal gruppo.

 

   La capacità di innescare processi di comprensione creativa.

 

   L’abilità di mettere ogni studente o persona che sia nella condizione di dare il massimo sono tutti obiettivi che si raggiungono con il giusto allenamento.

 

   Anche la didattica interculturale ha bisogno dei suoi strumenti didattici e delle sue competenze specifiche!

 

   Ognuno fa quel che può, quel che non può non fa, come diceva bene il maestro Manzi; una cosa però è fornire a tutti la possibilità di esprimersi al meglio delle proprie potenzialità, altro è perdere per strada alcuni studenti con la spiacevole consapevolezza che ci è sfuggito qualcosa.. Non è semplice, certo, anzi, è molto impegnativo…ma fattibile!! Come in tutti i lavori, per fortuna, gli strumenti giusti possono costituire un valido aiuto!

 

 

 

  

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