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Lentini (Siracusa)
 
 
 
 
 
 

 

 

   La città di Lentini è stata fondata, secondo la tradizione derivata da Tucidide, da coloni greci, provenienti da Calcide, che, sotto la guida di un certo Tukles (Teocle), occuparono le colline a sud della ricca piana alluvionale del Simeto intorno al 730 a.C.

 

   Ma molti secoli prima che il piede calcidese calpestasse la terra di Sicilia, popolazioni di varia origine avevano occupato le stesse colline. Tra queste popolazioni, una gente di origine peninsulare che gli storici hanno identificato con i Siculi.

 

   Essi passarono nella Sicilia dall'Italia (dove abitavano) fuggendo gli Opici, su zattere o in qualche altro modo. Giunti in Sicilia, essendo un popolo numeroso, vinsero in battaglia i Sicani e li scacciarono verso le parti meridionali e occidentali del paese. Questa popolazione, che basava la sua economia sull'agricoltura, ma anche sulla pesca e sul commercio, esercitato attraverso lo scalo di Castelluccio, si stanziò sul colle di Metapiccola, dando origine ad un insediamento che gli studiosi hanno identificato con la mitica Xouthia.

 

   Contemporaneamente, sui colli circostanti continuano a vivere popoli indigeni, che sembrano aver mantenuto con i Siculi rapporti amichevoli e che continuano ad occupare la stessa zona anche quando dei Siculi si perdono le tracce. Sono queste le genti che i calcidesi trovano sul colle di San Mauro nel 729 o, come è più probabile, nel 751-750 a.C.

 

   Dapprima i Calcidesi coabitarono con gli indigeni, ma poi, con la collaborazione dei Megaresi, con i quali avevano fatto città comune, li cacciarono dal San Mauro, costringendoli ad insediarsi sui colli circostanti, fino al definitivo assorbimento. L'agricoltura, in particolare la coltivazione dell'orzo, che ritroviamo nelle rappresentazioni monetali, e l'allevamento dei cavalli furono le attività economiche prevalenti, che determinavano lo status sociale della classe dominante, i cavalieri (ippeis). A questa classe appartiene il primo tiranno della storia siciliana, Panezio, che, sul finire del VII secolo a.C., approfittando della guerra per motivi di confine con Megara Hyblaea, prese il potere a Leontini.

 

   La città, che fu diretta per molto tempo da un regime oligarchico, ebbe molto presto un grande sviluppo ed uscendo dai ristretti limiti del San Mauro, occupò i colli circostanti e fondò nuove colonie (Euboia). La ricchezza della città, molto florida sia dal punto di vista agricolo che da quello commerciale, suscitò ben presto gli appetiti dei vari potenti che si contendevano il dominio della Sicilia in questo periodo.

Attaccata ed occupata da Ippocrate di Gela nel 494 a.C., Leontini perde lindipendenza e viene costretta ad entrare in un'alleanza militare, prima sotto il controllo di Gela (che vi insedia Enesidemo), e poi di Siracusa, che la trasforma in una piazzaforte militare per il controllo del territorio. Nel 476 a.C., Gerone I, signore di Siracusa, deporta a Leontini gli abitanti di Nasso e di Catania, dopo averli scacciati dalle loro città. La fine, con Trasibulo di Siracusa, della dinastia dei Dinomenidi riporta a Leontini la libertà, che viene però minacciata dall'avventura di Ducezio che nella zona dei Palici cerca di realizzare un dominio personale sul modello degli stati tirannici greci.

 

   Circondata da nemici da ogni parte, Leontini ricorre ad Atene, con la quale si allea con un trattato militare negli anni intorno alla metà del V secolo a.C. Di fronte alle azioni di Siracusa, che non nasconde le sue mire di dominio su tutta la Sicilia, l'alleanza precedente viene rinnovata nel 433 a.C. Nel 427 a.C., un'ambasceria, guidata dal retore leontino Gorgia, viene inviata ad Atene a perorare la causa degli alleati (le città calcidesi, Camarina e Reggio) contro Siracusa.

 

   La novità del suo eloquio, che avvince gli ascoltatori, ma anche gli interessi che Atene ha nell'isola, convincono la città greca ad intervenire militarmente in Sicilia. Le vicende della guerra sono alterne e si concludono con il congresso di Gela (424 a.C.), nel quale si stabilisce l'indipendenza delle varie città siceliote, l'estromissione di Atene dalla Sicilia, e di fatto la supremazia di Siracusa. A Leontini la fine della guerra non porta la pace. Si riaccendono, infatti, subito le lotte tra aristocratici, legati a Siracusa, e democratici, legati ad Atene. Questi ultimi chiedono la ridistribuzione delle terre e l'allargamento del diritto di voto, con la concessione dei diritti politici a molti nuovi cittadini. Per non essere costretti a cedere una parte del loro potere, gli aristocratici si rivolgono a Siracusa, che interviene immediatamente.

 

   I democratici vengono espulsi e si disperdono in varie parti della Sicilia, i nobili si trasferiscono a Siracusa, della quale ottengono la cittadinanza. Ad impedire che in futuro ci siano sorprese, le fortificazioni vengono distrutte. Il territorio viene inglobato nella chora di Siracusa e Leontini resta priva di abitanti, tranne i lavoratori servili alle dipendenze degli aristocratici. Dopo qualche anno, però, i nobili, non contenti del trattamento che riserva loro la nuova patria, fanno ritorno in città ed alleatisi con i democratici fanno scorrerie contro i Siracusani dal quartiere fortificato di Foceas e dalla fortezza di Brikinnia.

 

   La nuova situazione, che vede i democratici alla riscossa, spinge Atene ad intervenire in favore degli antichi alleati. Infatti, risponde positivamente alle richieste di aiuto che vengono formulate da Segesta, nella guerra contro Selinunte, alleata di Siracusa, e dagli esuli Leontini, che chiedono di essere rimessi nella loro città. Ha inizio così la seconda spedizione ateniese che finisce con la sconfitta definitiva di Atene, la quale, battuta nella Battaglia del fiume Assinaro, vede il proprio esercito lasciato morire di fame e di stenti nelle latomie, mentre Leontini vede svanire ancora una volta il sogno della libertà (413 a.C.). Ad accentuare lo stato di sudditanza nei confronti di Siracusa, ecco che di lì a poco la città viene occupata dai cittadini di Akragas, duecentomila persone (406 a.C.), e subito dopo dagli abitanti di Gela e di Camarina, alleati di Siracusa nella guerra contro Cartagine.

 

   La fine della guerra, con la sconfitta di Siracusa, porta all'autonomia di Leontini, che dopo tanto tempo si ritrova libera dalla potente vicina. L'indipendenza dura poco. Infatti, alla partenza dei Cartaginesi dalla Sicilia, Dionisio, da poco divenuto tiranno di Siracusa, la riconquista e deporta ancora una volta gli abitanti a Siracusa. La città si trasforma e diventa nello schema siracusano semplicemente una città magazzino, in cui conservare provviste per la guerra nei depositi a tal uopo costruiti. Alla fine della guerra, non potendo pagare i mercenari, Dionisio cede loro la città in cambio degli stipendi arretrati.

 

   Nelle lotte che si scatenano a Siracusa per il potere tra Dionisio II e Dione, Leontini parteggia per quest'ultimo e viene coinvolta fino ad essere occupata parzialmente da Filisto, generale di Dionisio. Nel periodo successivo, che vede il dissidio tra il corinzio Timoleonte ed Iceta, generale siracusano, Leontini prende le parti del secondo. La sconfitta di Iceta si porta dietro per Leontini ancora una volta lo spopolamento con la deportazione a Siracusa dei cittadini di parte popolare. Durante il regno di Agatocle, Leontini passa da una fase di appoggio al monarca siracusano all'alleanza con i Cartaginesi. Agatocle, al ritorno dall'Africa dove aveva portato la guerra, per punirla del tradimento ne massacra i dirigenti politici ed i loro seguaci. Durante l'intervento in Italia di Pirro, Leontini assieme a Siracusa e ad Akragas chiama il re epirota in aiuto contro Cartagine. In quella occasione, il tiranno di Leontini, Eraclide, offre a Pirro la città con i castelli ed un contingente di quattromila soldati e cinquecento cavalli (278 a.C.).

 

   La partenza di Pirro dalla Sicilia lascia Leontini saldamente in mano di Siracusa. Durante la prima guerra punica gode di un periodo di pace, inserita com'è nell'alleanza cui l'ha costretta il signore di Siracusa, Ierone II, che riesce a non restare coinvolto nella lotta tra Roma e Cartagine, barcamenandosi tra l'una e l'altra potenza. La morte di Ierone e l'ascesa al trono di Geronimo, suo nipote, che nella seconda guerra punica parteggia per Cartagine, rappresentano l'ultimo atto dell'esistenza di Leontini. Geronimo, giovane di sedici anni, si reca con l'esercito e con il tesoro regio a Leontini, ai confini della provincia romana, per procedere alle operazioni di guerra. Quivi giunto, però, cade vittima di una congiura ordita dal partito filoromano. Mentre, infatti, si sta recando in piazza per una via stretta, Geronimo viene circondato dai congiurati e trafitto a colpi di pugnale. Leontini, abbandonata dai congiurati, diventa poco dopo la base delle operazioni dei filocartaginesi, espulsi da Siracusa. Costoro attaccano e distruggono un reparto romano e Roma chiede l'allontanamento dei Cartaginesi. La risposta sprezzante dei Leontini, che sperano nell'aiuto di Annibale che in Italia sta portando un duro attacco alle forze romane, provoca l'intervento armato dei Romani. Attaccata da tutte le parti, distrutte le mura, la città soccombe (214 a.C.).

 

   Leontini entra nell'orbita di Roma e perde definitivamente la sua autonomia.

Poi  il periodo romano e quello bizantino cui seguì Il periodo arabo e quello normanno cui subentrarono Angioini ed Aragonesi. Poi conobbe la guerra fra le famiglie patrizie fino ad arrivare a Carlo V ed alla Rivoluzione francese

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 

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