Anticultura causa dell’incultura della musica.

   Non vi sono dubbi sul fatto che la cultura di un paese nasca fondamentalmente dal grado di istruzione dei propri cittadini. In questo senso, la lettura del crescente fenomeno di degrado artistico che sta avvenendo già  da qualche decennio è sicuramente facilitata.

   Fonti statistiche ufficiali documentano/affermano che "l'Italia è all’ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura (1,1% a fronte del 2,2% dell’Ue a 27) e al penultimo posto, seguita solo dalla Grecia, per percentuale di spesa in istruzione (l’8,5% a fronte del 10,9% dell’Ue a 27).

   I risultati di questa grave negligenza (e volontà politica) si ripercuotono su tutte le sfaccettature della vita di un italiano medio. La sua "diseducazione" culturale e, nella fattispecie, musicale lo porta ad accostarsi a generi scialbi, grezzi, artificiali e senz'anima come house, dubstep e hip-hop, dimenticando la vera sorgente della melodia ovvero lo strumento musicale, rimpiazzato ormai da console e computer.

   A peggiorare ulteriormente la situazione si aggiungono i cosiddetti "talent show" che di talento ne ricercano/offrono ben poco e si focalizzano soprattutto sulla ricerca di un'immagine che sappia attrarre e vendere senza la minima profusione di qualsivoglia abilità  tecnica, offrendo alle case discografiche un modello di artista privo di ars e incapace di organizzare autonomamente il proprio lavoro.

   Sanremo, inteso come palcoscenico musicale italiano,  non è altro che una miscellanea di relitti e dilettanti allo sbaraglio selezionati in base ad esigenze di casa discografica e preferenze a volte ingiustificabili e che negli ultimi tempi ha fornito alle major dei prodotti incredibilmente scadenti e costruiti come Valerio Scanu e Marco Carta, agitatori di folle composte da tredicenni che sono ormai (e per fortuna) finiti nel dimenticatoio.

   Appurata l'incapacità  dei media di riuscire a sopperire alla mancanza di un'istruzione musicale adeguata, ci si chiede se le scuole riescano nell'intento: la risposta è negativa.

   Istituti e corsi privati a parte, la materia in questione è quasi totalmente assente o marginale nelle classi italiane. Alle scuole elementari si da’  una semplice infarinatura d'approccio con uno strumento obbligatorio (forse perchè economico) quale il flauto, accompagnata dall'apprendimento mnemonico di pochi spartiti e il seguente spettacolino di fine anno. Ecco il completissimo programma italiano di educazione musicale tranne sporadici casi di pochi volenterosi che mettono a disposizione le loro competenze senza ritorno alcuno se non la gratificazione personale.

   In Finlandia, ad esempio, dai 7 ai 16 anni i ragazzi frequentano attrezzatissimi laboratori di musica presenti anche nelle scuole più periferiche; a buona ragione i Finlandesi credono fermamente che la crescita culturale dell'individuo sia strettamente legata alle attività  artistiche e sociali come anche, ad esempio, quella teatrale.

   E quel che più addolora è la consapevolezza di possedere un così sconfinato e non sfruttato patrimonio storico e tradizionale da far invidia ad ognuno dei nostri amici europei, i quali però ci superano in capacità  di organizzazione e ottimizzazione delle risorse.

   L'unica traccia di speranza per i pochi appassionati di musica qualitativamente eccellente è costituita dallo spostamento nelle grandi città  come Roma, Verona e Milano che sono solite ospitare artisti di fama internazionale ma che vengono talvolta snobbate perchè molti di loro in Italia non hanno mercato sufficiente per giustificare i cachet pretesi.

   Di conseguenza si registra il tutto esaurito per le esibizioni di Vasco Rossi, Biagio Antonacci, Ligabue, Claudio Baglioni e affini, mentre si fatica a riempire le arene in occasione di live decisamente migliori.

   La cultura dell'ascolto come motivo di apprendimento e d'interiorità  sta progressivamente svanendo; la musica diventa una semplice routine, i ritmi sono sempre più simili tra loro e fastidiosi, i testi si riducono anche a semplici onomatopee e gli artisti - o chi per loro - compongono meramente a scopo di lucro.

   Ed è proprio il guadagno l'unico obiettivo della stragrande maggioranza delle major, che non mirano ad innalzare la qualità  dei loro prodotti e del panorama generale ma alle vendite e al totale appiattimento del pubblico pagante, rendendo i più giovani schiavi di falsi modelli e presunti ideali.

   Una possibilità  di svolta si avrebbe incentivando attività  culturali come concerti e rappresentazioni teatrali non solo nelle grandi città  ma anche nei borghi e nei comuni minori, bloccando un trend negativo che vede le province escluse da eventi di spiccato calibro che potrebbero aprire occhi e orecchie a tutti coloro i quali hanno finora vissuto all'ombra di un'ignoranza volutamente riflessa e furbescamente alimentata ma non per questo impossibile da sradicare.

   L’incultura genera mostri e superstizioni di massa.

Riccardo Rigano

 

 
 
 
 
 

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