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La cucina siciliana, tra quelle regionali, è certamente una
delle più varie, con i suoi sapori e aromi, retaggio delle
molte dominazioni che si sono succedute nell’isola. La
tradizione alimentare è infatti diversa da una zona
all’altra della Sicilia, e risente delle influenze dei
popoli che in tempi remoti ebbero qui i loro insediamenti.
In particolare, la cucina dell'area etnea può ben
considerarsi vegetale o naturalmente vegana se si esclude il
solo pesce azzurro.
La dieta
mediterranea è
un modello nutrizionale ispirato
ai modelli alimentari diffusi in alcuni Paesi del
bacino mediterraneo (come l'Italia, la Spagna, la
Grecia e il Marocco) negli anni cinquanta del XX
secolo, riconosciuta dall'UNESCO come
bene protetto e inserito nella lista dei patrimoni
orali e immateriali dell'umanità nel
2010. La cucina siciliana è ispirata alla dieta
mediterranea e secondo un ex ministro della salute,
un corretto uso di tale dieta consentirebbe allo
stato un forte risparmio in termini di assistenza
sanitaria, circa 10miliardi ogni anno.
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The Mediterranean diet is a nutritional model
inspired by food models spread in some Mediterranean
countries (such as Italy, Spain, Greece and Morocco)
in the 50s of the 20th century. UNESCO recognized
the Mediterranean diet as a protected asset and
included it in the list of oral and
intangible
heritage of humanity in 2010. Sicilian cuisine is
inspired by the Mediterranean
diet and according to a former health
minister, a correct use of this diet would allow the
State a strong saving in terms of health care for
about 10 billion every year. |
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Alla Magna Grecia dobbiamo tradizioni di semplicità,
strettamente legate ai prodotti della terra, che ritroviamo
nella zona di Siracusa e Ragusa; agli Arabi la
contrapposizione dei sapori agrodolce e piccante, tipica del
Palermitano; alle corti dei Saraceni le spezie profumate nei
dolci; agli spagnoli il fasto nell’elaborazione di dolci e
pietanze; ai Francesi una certa raffinatezza nel preparare
condimenti e sughi e la pasta frolla, adoperata come
involucro di timballi e pasticci.
A Palermo, le tradizioni gastronomiche sono strettamente
collegate alla sua storia e al suo passato e risentono,
quindi, dei fasti delle antiche corti, intorno a cui ruotava
la vita della città. Ne è prova l’aglassato, un condimento
della cucina nobile, certamente ispirato alla cucina
francese e che fa parte della tradizione alimentare
palermitana.
Nel Trapanese, le abitudini alimentari sono legate
soprattutto alla pesca, ma l’influenza araba è presente in
una specialità gastronomica, il cuscus, che a Palermo è
invece sconosciuta. A Messina, centro importante in epoca
Bizantina, Saracena e Normanna, hanno fatto il loro ingresso
due alimenti che fanno parte della cucina tradizionale, il
riso e lo stoccafisso. Dalla Francia, Messina non ha
ereditato l’abitudine della cipolla nelle pietanze, ma
l’influenza francese è presente in una zuppa, “u sciuscieddu”.
A Catania, la cucina tipica affonda le sue radici
nell’antichità classica. L’uso della brace, per la cottura
dei cibi, si riallaccia, per esempio, alle ricette di pesci
avvolti in foglie di fico, cui fa cenno Orchestrato di Gela.
La cucina Siracusana era rinomata in tutta la Magna Grecia
per le sue raffinatezze. Marziale, in uno dei suoi famosi
epigrammi, ricorda l’intenso profumo del timo nelle focacce.
Le influenze di Arabi, Spagnoli e Francesi non hanno
raggiunto questa parte dell’isola, che resta legata alla
spartana sobrietà dei Greci e alle tradizioni del mondo
contadino; “u pastizu”, una tipica focaccia ragusana, ne è
l’esempio più significativo.
Enna, che fu il centro del culto di Demetra, dea della
fertilità, e di Cerere, dea delle messi, con Agrigento e
Caltanissetta sono le città più vicine alla realtà
contadina, dove il rapporto uomo-natura è più sentito e
genera un insieme di comportamenti, secondo un rituale che
affonda le proprie radici nell’antichità pagana e che si è
tramandato fino ai nostri giorni.
Ma la
caratteristica comune del mangiare siciliano che ritroviamo
in ogni parte dell’isola, indipendentemente da influenze
storiche o da fattori ambientali, è rappresentata senza
dubbio dal pane e dalla pasta. La Sicilia come è noto, fin
dai tempi degli antichi romani, era considerata uno dei più
importanti serbatoi di grano di tutta l’area del
mediterraneo, e i seguito, sia gli Arabi che gli Spagnoli
contribuirono all’espansione della coltura del frumento in
tutta l’isola.
La
pasta lunga o corta, diventa un piatto unico, perché
arricchito da condimenti vari, quali la carne, il pesce, le
verdure, gli ortaggi che completano la pietanza. Così
troviamo a Palermo, un vero capolavoro della cucina, la
pasta con le sarde; a Catania viene preparata la pasta con
il finocchio selvatico; a Trapani la pasta con i broccoli
fritti; a Messina la pasta “’ncaciata”, e a Ragusa i
maccheroni al forno.
Il pane, altro elemento fondamentale del mangiare siciliano,
in ambiente contadino assume il carattere di una vera e
propria pietanza. Si mangia appena sfornato, condito con
olio, sale, pepe e origano, oppure con formaggio
caciocavallo o pecorino, o anche con olive. In ogni paese
della Sicilia, la preparazione del pane ha un suo rituale,
e, a seconda della lavorazione la “pagnotta” è diventata,
per forma e per sapore, diversa da una zona all’altra
dell’isola. Il pane anche quando è raffermo, viene
utilizzato per inzupparlo nelle minestre o addirittura per
fare una zuppa di pane cotto, una delle zuppe più popolari
del mondo contadino, e anche quando è molto duro, il pane
grattugiato (la mollica), diventa elemento base di quasi
tutti i ripieni e le pietanze della cucina siciliana oltre
che elemento indispensabile per impanare le cotolette.
Tratto da “La cucina
Siciliana” di Maria Adele Di Leo
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