Il Marchio “Made in Italy”.

 

   Se esistesse davvero, come molti esperti e creativi di marketing hanno da tempo immaginato, il marchio Made in Italy sarebbe il terzo al mondo dopo Coca Cola e Visa e varrebbe trenta miliardi. Un marchio nazionale di origine e qualità rappresenterebbe una buona arma per combattere la contraffazione; ma sarebbe di grande utilità anche nel contrasto all’italian sounding, ovvero l’imitazione dei prodotti italiani più noti nel mondo, che sottrae mercato ai prodotti veri sollecitando i consumatori esteri con nomi che ‘suonano’ simili a quelli reali, facendo leva sulla loro insufficiente conoscenza dei nomi e delle caratteristiche dei prodotti originari. Ora, Renzi ha annunciato di voler promuovere il Made in Italy. Però a suo tempo l’ha inserito nell’agenda dei mille giorni; e i passi flemmatici che il Governo sta compiendo su questo tema sembrano in sintonia con questo scenario temporale. Il lento iter, che si contrappone all’urgenza di uscire dalla crisi e rischia di combinare i suoi effetti con i chiari di luna della politica italiana, sta raffreddando le speranze: ultimo allarme quello lanciato il 24 settembre dalla vicepresidente di Confindustria per l’Europa Lisa Ferrarini dai microfoni di Radio24, che parlando senza flemma del Governo su questo tema, si è detta ‘sola a difesa del Made in Italy’. Il risultato è che l’ipotesi del marchio nazionale rischia l’oblio del dimenticatoio o la figura dell’annuncio di facciata.

   Già, perché un marchio nazionale non si fa dall’oggi al domani, è vero, ma al dopodomani sì. Bisogna riposizionare il marchio, è evidente. Bisogna trovare il modo per realizzare, col marchio, una unità rispetto alle diversità dei prodotti e delle loro storie. Chiaro. Ma si deve fare in fretta, in un tempo in cui muoiono decine di imprese al giorno (addirittura mille al giorno ne aveva registrate Unioncamere nel 2012), e purtroppo a volte anche imprenditori. Appena realizzato, “Italian Original”, come si è pensato di chiamare il marchio, potrebbe valorizzare un patrimonio da 260 miliardi (17% del Pil), quello connesso  all’agroalimentare e ai prodotti simbolo del Belpaese conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Ma perché “Italian original” nasca veramente, e subito, è sufficiente, come al solito, che la politica guardi alla creatività e al lavoro fatto da chi le maniche se le rimbocca ogni mattina.

   Da anni imprenditori, associazioni di categoria, economisti e ricercatori hanno pronti progetti, programmi, griglie interpretative. Nulla di ‘chiuso’, da riscrivere da cima a fondo: esistono infatti modelli dinamici, cioè predisposti ad adattare il marchio all’evolversi degli scenari interni ed internazionali e a nuovi apporti. Perché esiste un vero e proprio ‘movimento’ di base, pronto a condividere il progetto nella consapevolezza che è l’unione, di imprese, associazioni e macchina pubblica, a fare la forza. Sarebbe sufficiente accorgersene. Sarebbe sufficiente, ad esempio, valorizzare il grande lavoro di realtà importanti come Unioncamere e Fondazione Symbola. Per quanto riguarda il marketing, ed in particolare l’aspetto e-commerce ancora poco sviluppato dalle imprese italiane, le due, insieme all’università veneziana Ca’ Foscari e con il patrocinio del Ministero per lo Sviluppo Economico, stanno collaborando con Google per la seconda tappa del progetto “Made in Italy: Eccellenze in Digitale”. Il progetto, rivolto alle PMI, è mirato a sfruttare le opportunità offerte dalla Rete per far conoscere, nel mercato interno e a livello internazionale, le eccellenze italiane. E’ facile comprendere l’effetto moltiplicatore che la copertura di un marchio nazionale rispetto a strumenti di marketing ‘istituzionali’ del genere potrebbe determinare. E questo è solo uno degli strumenti messo a disposizione della politica dal mondo reale.

   Visto il lavoro fatto dagli uomini in maniche di camicia, vediamo lo stato dell’arte di quello in corso sulle scrivanie, appunto, della politica. Il decreto “Sblocca Italia”, approdato in Consiglio dei Ministri all’inizio di settembre, aveva previsto un pacchetto di misure che includono il lancio di un “Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l’attrazione degli .investimenti in Italia”. Per l’iniziativa erano stati 220 milioni di euro nel triennio 2015-2017 per la realizzazione di interventi mirati all’export e alla promozione delle produzioni italiane in campo industriale e agroalimentare, anche e soprattutto in considerazione dell’appuntamento di Expo 2015 di Milano. Le prime bozze prevedevano per il triennio 2015-2017 l’assegnazione all’Agenzia Ice di 130 milioni per il 2015, 50 milioni per il 2016 e 40 milioni per il 2017.

   Secondo l’ultima versione dello Sblocca Italia però i fondi per il piano dovrebbero arrivare solo con la legge di Stabilità. Come si dice, staremo a vedere. Insomma, si può fare. Ma per farlo, bisogna crederci. Siamo sicuri che Renzi lo farà: anche per smentire imprenditori come Della Valle, che nella puntata del 26 settembre di Otto e Mezzo ha attaccato Renzi  – il quale poco prima da Auburn Hills a proposito di Fiat-Chrysler aveva parlato di “Made in Italy che ci piace e che vogliamo difendere” – dichiarando che la ‘promessa’ Renzi è andata in tilt e accomunando Renzi stesso a Marchionne, definendo il premier e il manager “due persone che non attendono a quello che dicono”. Urgente allora decidersi su un simbolo, stilare un piano marketing, creare una ‘torre di controllo’ in Presidenza del Consiglio che lavori insieme alla rete diplomatica, valorizzare la già molto attiva agenzia ICE. Insomma, rimboccarsele, le maniche. Finché l’Italia è in piedi.

   Un’ultima digressione, sui contenuti. Guardando al settore di punta del Made in Italy, che è l’agroalimentare, l’Italia è prima nella classifica europea delle produzioni certificate. I marchi Dop e Igp italiani sono già 264. La Francia ne ha 207, la Spagna  162. La Germania ha solo 99 prodotti a denominazione, e il Regno Unito 45 tra Dop e Igp. Già ora, senza alcun marchio nazionale e con le pesantissime zavorre della contraffazione e dell’italian sounding, i prodotti italiani certificati hanno un fatturato al consumo di quasi 13 miliardi l’anno. Di questi, il  35 per cento è dovuto all’export. Il 97% del fatturato complessivo del paniere Dop e Igp italiano è legato a quindici prodotti: Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Aceto Balsamico di Modena, Mela Alto Adige, Prosciutto di Parma, Pecorino Romano, Gorgonzola, Mozzarella di Bufala Campana, Speck Alto Adige, Prosciutto San Daniele, Mela Val di Non, Toscano, Mortadella Bologna, Bresaola della Valtellina Igp e Taleggio.

 

 
 
 
 
 

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