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Motta d'Affermo (Messina)
 
 
 
 
 

 

 

   Motta d’Affermo è adagiato a 660 m s.l.m. alle falde del Monte S. Cono a cavallo dei versanti delle fiumare Tusa e S. Stefano di Camastra. Il suo territorio si affaccia sul mar Tirreno e comprende la frazione marina di Torremuzza.

 

   Per la sua posizione geografica, Motta d’Affermo gode di ampie viste e stupendi panorami; dal castello la veduta spazia dal Tirreno al promontorio di Cefalù alle Madonie, all’ampia valle della vicina fiumara riuscendo ad ammirare una larga fetta della costa tirrenica di 120 Km circa. Il territorio è caratterizzato da una ricca vegetazione, fino ad un’altitudine di metri 500 domina la coltura dell’ulivo, più in alto compaiono noccioleti e boschi di quercia e latifoglie. Oltre gli 800 metri molte zone sono utilizzate a pascolo.

 

   L’origine di Motta d’Affermo deriva da un piccolo insediamento nato dalla diaspora degli abitanti di Halaesa in età tardo-imperiale romana, così come attesta la presenza di un insediamento e di una necropoli in località “Sorba” (IV sec.).

 

   Successivamente un gruppo di bizantini (VII-IX sec.) fonda il casale di Sparto, (in greco significa ginestra, spartium junceum). Infatti ancora oggi l’arbusto caratterizza fortemente le colline del territorio di Motta, soprattutto durante la primavera.

 

   L’istituzione più rappresentativa all’arrivo dei Normanni rimase “S. Maria di Sparto”, piccolo cenobio basiliano, i cui ruderi ancora esistono vicino il paese. Il primo esponente feudale di cui si abbia notizia è Roberto de Sparto.

 

   Nel 1380, dopo diversi passaggi, Sparto si trova in potere del cavaliere Muccio Albamonte alias di Fermo, mercenario proveniente dalle Marche. Questi ripopola il vecchio casale di Sparto e si proclama signore e barone di Sparto, che da quest’epoca in poi viene chiamato la Motta di Muccio di Fermo, fino ad arrivare all’attuale denominazione: Motta d’Affermo. Tra le prime iniziative si ricorda la costruzione della chiesa di Maria SS. degli Angeli. Questa, essendo la Matrice, era luogo di culto e di riunione per il popolo, soprattutto quando si dovevano prendere delle decisioni importanti. A quel tempo Motta era già una realtà importante con la sua fortezza, le sue chiese, i suoi edifici pubblici, le case dei borghesi e dei popolani. Ma fu negli edifici di culto e nei loro arredi che la comunità espresse il meglio delle sue possibilità.


   Guglielmo Albamonte, discendente di Muccio, è uno dei dodici campioni della Disfida di Barletta (1503).

 

   Nel 1557 il feudo passa dagli Albamonte ai Bonajuto, agli Isfar Coriglios, ai Del Pozzo, e nel 1607 a Modesto Gambacurta, nominato marchese dal re Filippo III. Nel 1633 Gregorio Castelli, facoltoso mercante genovese, acquista il marchesato di Motta, che resta per circa tre secoli alla famiglia.

 

   Tra gli esponenti della famiglia Castelli, spicca Gabriele Lancillotto che, nella seconda metà del ‘700, si distingue come insigne archeologo, mecenate, numismatico, letterato, primo regio Conservatore delle Antichità di Sicilia, direttore e ispiratore della Real Accademia degli Studi di Palermo (Università). Il suo pronipote ed omonimo fu tra i primi senatori del Regno d’Italia.

 

   I Castelli, Principi di Torremuzza, promossero, insieme ad altri aristocratici e borghesi del luogo, prestigiose iniziative artistiche che coinvolsero i migliori artisti del Seicento e del Settecento siciliano, lasciando significative testimonianze della loro munificenza. Nel frattempo nel 1812 la feudalità veniva abolita e il paese si organizzava in comune autonomo.

 

 

 
 
 
 
 

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