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   La poesia italiana dalla scuola siciliana del 1200

   Scorazzando per biblioteche, frugando tra vecchi libri o sfogliando vecchi sussidiari riscopro cose e scritti caduti nel dimenticatoio perché nessuno degli innumerevoli Ministri della cosiddetta Pubblica Istruzione ha mai pensato di far valorizzare autori, scrittori e poeti erroneamente ritenuti minori. Pochi sanno che nel trentennio compreso all’incirca tra il 1220 e il 1250, fiorì nell’Italia meridionale e specificatamente in Sicilia, presso la corte di Federico II°, un movimento poetico d’avanguardia formato da un gruppo di poeti-funzionari, a cui già Dante e Petrarca (bontà loro), riconobbero l’autorità e il prestigio di una vera e propria scuola.

   Ne fecero parte, tra gli altri, Giacomo da Lentini, Guido delle Colonne, Rinaldo d’Aquino, Giacomino Pugliese, Pier delle Vigne, Mazzeo di Ricco, Jacopo Mostacci, Stefano Pronotaro, Pervicalle Doria; i loro testi ci sono stati tramandati attraverso le trascrizioni, che ne fecero in epoca trecentesca, i copisti toscani, e dunque in forma linguistica manipolata e toscanizzata. Il tema prevalente di queste liriche è quello dell’amor cortese, derivato dai modelli provenzali e arricchito di nuovi interessi dottrinari, in uno stile spesso complesso e oscuro destinato a una cerchia elitaria di dilettanti colti.

   Tra le forme coltivate da questa poesia (che viene distinta dalla musica) ci sono, la canzone (derivata dai modelli provenzali) e il sonetto (ricavato dalla stanza di canzone su iniziativa di Giacomo da Lentini), che diventa la nuova forma istituzionale della poesia italiana.

   Vengono anche coltivate forme popolareggianti come la canzonetta, la ballata, i dialoghi fra amanti, i lamenti di malamaritate, le gelosesche. Fra i principali canzonieri manoscritti che ci tramandano testi siciliani, si ricordano: il pisano canzoniere laurenziano-rediano, il canzoniere Palatino (Firenze, biblioteca nazionale) e il canzoniere Vaticano-Latino.

  Giacomo (Jacopo) da Lentini, detto il notaro, fu notaio imperiale di Federico II°, particolarmente stimato dai contemporanei; anche Dante, nel De vulgari eloquentia lo ricorda per lo stile limpido e ornato. Ci rimangono circa quaranta componimenti dedicati al tema amoroso trattato con particolare freschezza espressiva. A Giacomo da Lentini è attribuita la forma metrica del sonetto. La maggior parte di queste romanze sono sparite, dimenticate perché  i copisti toscani ne fecero scempio, le toscanizzarono e poi furono facili prede di tutti gli autori e poeti a seguire.

   Anni fa, la Regione Siciliana aveva emanato una ulteriore Legge che obbligava allo studio dell’identità e molti giornalisti aggiunsero anche il dialetto siciliano (si tratta invece di lingua madre come riconosciuta dall’Unesco per la sua complessità di formazione):

 “Dialetto siciliano nelle scuole. Approvata la legge alla Ars”. “Si studierà il siciliano nelle scuole dell’Isola? Lo avrebbe deciso l’Assemblea regionale che ha approvato la norma con un voto bipartisan. Saranno interessate le elementari, le medie e gli istituti superiori. Toccherà adesso all’assessore regionale alla Formazione, all’epoca dei fatti era Mario Centorrino, (Governo Lombardo) concordare con gli organismi scolastici le forme per applicare la legge nelle scuole, prevista dalla Riforma Moratti, attraverso il coinvolgimento dei dirigenti e dei docenti. Nessuno però aveva fatto mente locale sulla reale composizione di detta “lingua siciliana” che risulta essere composta da oltre 80 parlate come dire 80 dialetti su tutta l’isola. Come fare? Niente di fatto. Il complesso idioma siciliano e le sue nobili origini sono destinati a morire”.

   Rosario Rigano

 

 

Pagina e link collegati a cura dell'Associazione Culturale editrice "Accademia di Arti e Culture".

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            by Rosario Rigano

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