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     A tre chilometri a sud di Villarosa, su un paesaggio collinare segnato da corsi di torrenti stagionali, scosceso sui fianchi e con affioramenti di roccia calcarea ed arenaria, sorge la contrada di S. Anna.

     È nota da tempo in questo luogo l'esistenza di due grotte dette "delle Stanzie" e comunemente ritenute di età preistorica: sorgono in prossimità del palazzo e della chiesa delle "Stanzie", costruiti per volontà della moglie del Duca Francesco Notarbartolo, Angela Zati Dente, nel 1716. La gente del luogo ricorda che la popolazione vi trovò rifugio durante la seconda guerra mondiale per sfuggire ai bombardamenti dell'aviazione americana. Le grotte presentano una pianta circolare e sono ricavate sullo stesso costone roccioso: di fronte ad esso un terzo antro rivela, all'interno, la presenza di una sorgente d'acqua. Altre strutture alpestri sono state rintracciate più a nord, in particolare due ambienti comunicanti a pianta rettangolare e con bassa copertura a calotta, e una tomba a camera di difficile inquadramento cronologico.

     Su queste balze la prospezione di superficie ha restituito tracce di periodo preistorico e frammenti di ceramica d'età greca e romana. Le due grotte sono raggiungibili, dalla base della collina, tramite un piccolo sentiero che conserva delle fievoli tracce di un lastricato di ciottoli e pietre appiattite; sfuggite all'attenzione degli studiosi, sono contigue tra loro e accomunate, oltre che dalle vaste dimensioni, da una pianta circolare e da un alzato conico: al culmine un foro, anch'esso circolare, lascia penetrare la luce dall'alto. È difficile resistere al fascino di identificare i due ambienti come ipogei funerari, del tipo di quelli ritrovati in altre località della Sicilia e che trovano la loro matrice tipologica nelle tholoi micenee. Tombe a camera tholoide sono state individuate nella zona sud-orientale dell'isola e in quella centrale, lungo il corso del fiume Platani, e sono tra le più importanti attestazioni dei rapporti tra la cultura micenea e le comunità isolane nel periodo precedente alla colonizzazione greca. Le due grotte in questione presentano molte caratteristiche in comune con quel modello: non solo hanno una cella circolare in pianta e un alzato conico del tipo delle tholoi, ma presentano anche alcuni di quei segni che P. Orsi, nel suo studio sull'architettura funeraria del II periodo siculo (media e tarda età del Bronzo), aveva identificato come limitati alla Sicilia e dunque risultato di una interpretazione indigena. Tra queste prove sono sembrati caratterizzanti il notevole sviluppo delle dimensioni della pianta e dell'alzato e la copertura che, da bassa calotta, acquista anche qui l'aspetto di una cupola. Altri elementi tuttavia, non meno importanti, scoraggiano l'interpretazione appena proposta: per quanto in Sicilia sia attestato un sovradimensionamento del modello originario miceneo, nessuna delle tholoi isolane presenta un diametro e un alzato paragonabile per dimensioni alle due grotte.

     Mancano inoltre alcune delle caratteristiche fondamentali, come l'ingresso monumentalizzato e il corridoio d'accesso; non si riscontra qui la presenza di gradini interni, ne di banchine che possano far pensare ad un uso funerario, ma soprattutto all'apice del cono non è qui testimoniato il consueto incavo cilindrico detto anche scodellino. Al contrario una larga apertura circolare immette luce dall'alto e sembra escludere la possibilità che gli ambienti siano mai stati usati per scopi minerari.

     Proprio lo studio e l'interpretazione di queste imboccature aperte all'apice potrebbero fornire la chiave della soluzione. Il foro poteva servire per lo scarico dall'alto di grandi quantità di materiale (grano per esempio) per poi essere recuperato, in razioni minori, dall'apertura sulla fronte. Questo ci indurrebbe a ipotizzare che l'utilizzo dei due ambienti fosse legato alle attività agricole e che si trattasse di silos per granaglie.

     Un'ulteriore ipotesi potrebbe scaturire dal confronto con il complesso rupestre della Gulfa presso Alia (Palermo), recentemente interpretato come impianto di produzione e commercializzazione della calce: in questo caso le grotte sarebbero delle monumentali fornaci e l'incavo all'apice un camino per il tiraggio. Questo indurrebbe a spostare più in alto la cronologia dei due ambienti: gli impianti per la produzione della calce in Sicilia (le c.d. calcare) sono menzionati per la prima volta nelle carte normanne e sono testimonianza del grande fervore edilizio di questa fase storica in Sicilia.

Rossetta Nicoletti

Villarosa: Itinerario archeologico del territorio - La pubblicazione, è stata possibile con il contributo del Comune di Villarosa, fa parte dell'archivio dell'Archeoclub d'Italia sede di Enna ed è protetta dalla normativa vigente sul diritto d'autore. - © 2002 Archeoclub Enna

 
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